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“Realidad y Deseo”, esce in Spagna la biografia definitiva su Freddie Mercury

Focus sulla carriera da solista, più di cento interviste, dichiarazioni inedite sul cantante e i Queen del produttore Reinhold Mack, Roger Taylor e di artisti come Chris Cornell, Slash e Joe Satriani nel libro di Ignacio Reyo 

Sulla vita privata e da rockstar di Freddie Mercury si è detto, e scritto, molto. Scadere nell’aneddotico o nel pettegolezzo, con un personaggio di tale caratura come lo scomparso cantante dei Queen, è estremamente facile – meno facile, invece, analizzare in profondità la sua eredità musicale, il metodo creativo, il lato prettamente artistico insomma. Ci ha provato il giornalista spagnolo Ignacio Reyo, con oltre cento interviste, un’accurata ricerca di emeroteca e ben nove anni di lavoro confluiti nel libro “Realidad y Deseo” (editrice La Esfera de Los Libros) uscito in Spagna un mese fa – e abbiamo intervistato l’autore per voi!

Una biografia davvero diversa dalle altre, in cui compaiono per la prima volta musicisti e collaboratori che hanno lavorato fianco a fianco con Mercury e mai interpellati prima d’ora. E interviste inedite con personaggi come Reinhold Mack, coproduttore del primo album da solista di Freddie Mercury, Mr. Bad Guy, nonché produttore/coproduttore di molti dischi dei Queen, tra cui The Game, Flash Gordon, Hot Space, The Works, A Kind of Magic. O l’opinione di Roger Taylor sulla carriera solista di Mercury. Reyo ha poi arricchito il tutto con impressioni e racconti di svariati artisti sul loro rapporto coi Queen, Freddie Mercury e la loro musica: preziose testimonianze raccolte nel corso degli anni attraverso il suo ruolo di giornalista musicale, che gli ha permesso di includere, in “Realidad y Deseo”, dichiarazioni da parte dei maggiori artisti rock in circolazione. E così troviamo nel libro ricordi e opinioni inediti legati a Queen e Mercury dei compianti Chris Cornell e Taylor Hawkins dei Foo Fighters (mancato da poco e amico del batterista dei Queen, Roger Taylor), dei grandi Slash e Joe Satriani, Joe Elliott dei Def Leppard, Michael Monroe (ex Hanoi Rocks), Shirley Manson dei Garbage, Jerry Cantrell degli Alice In Chains, John Lydon/Rotten dei Sex Pistols… Ma anche le decisamente meno rock Olivia Newton-John e Petula Clark, e molti altri. Due gli italiani che compaiono tra gli intervistati: Rocco Siffredi, con considerazioni estremamente serie e interessanti, e la mitica Cristina Scabbia, cantante dei Lacuna Coil.

Se siete fan dei Queen, se avete digerito o meno i nuovi tour di Brian May e Roger Taylor con Adam Lambert alla voce, se preferite John Deacon che si è dissociato e ritirato a vita privata, se vi è piaciuto da impazzire Rami Malek nel film “Bohemian Rhapsody”… Insomma, qualunque sia la vostra posizione, questo è un libro imperdibile. E con Ignacio Reyo abbiamo fatto una bella chiacchierata per approfondire come è nato “Realidad y Deseo” che, tra l’altro, promette di dire “tutto ciò che il film oscarizzato non ha detto”. 

Al centro, Freddie con Mike Moran e Montserrat Caballé, foto inclusa nel libro (photo courtesy of Mike Moran). Ai lati, due scatti di live dei Queen a Monaco, Germania: a sinistra il 21.05.1982, a destra il 28.06.1986. Both photos by Wolfgang Gürster (website: www.rock-shot.com)

Qual è l’idea centrale del libro, e come ti è venuta? Come l’hai sviluppata?

Tutto è iniziato quando a This Is Rock (rivista con cui collabora, nda), nove anni e mezzo fa, mi chiesero un articolo su Mercury che sarebbe finito in copertina. Volevano che emergesse tanto il suo lavoro da solista quanto quello coi Queen, ma quest’ultimo dal suo punto di vista. E che mi concentrassi sulle sue composizioni, la sua evoluzione estetica e di vita. Riuscii a intervistare persone vicine al gruppo, come il produttore Reinhold Mack, che mi diedero una visione di Mercury e del gruppo fino ad allora quasi inedita. Col passare del tempo, realizzai sempre più articoli di copertina, stavolta focalizzati sui Queen, e man mano ampliai il numero degli intervistati. Già dalla prima copertina con Mercury mi resi conto che avevo tra le mani le basi per un libro, bisognava solo riempire la sua storia e quella della band con le voci di chi aveva avuto a che fare con loro in prima persona, o con i contributi che mi potessero venire da musicisti o artisti, indipendentemente dal fatto che fossero fan o no. Modellai un tipo di articolo che poi ho adattato a ogni capitolo del libro. In questo senso, la transizione dalla rivista al libro è stata facile. La cosa più complicata è stata rendere coerente tutto l’archivio di interviste che avevo, oltre a fare ricerca di articoli dell’epoca.

Ignacio Reyo (a sinistra) col produttore Reinhold Mack

Quante persone hai intervistato? Come hai scelto chi intervistare?

Più di cento, e si possono dividere in due correnti: da un lato, per via del mio lavoro di giornalista culturale, a qualunque persona che intervistassi chiedevo dei Queen o di Freddie, ma dei dettagli concreti. Non volevo cliché, tipo che grande che era Freddie o i Queen… quello già si sa. Chiedevo quale fosse il disco preferito, se erano mai stati a qualche concerto, quale periodo piaceva di più, cosa pensassero di alcuni video, se avevano degli aneddoti… Contemporaneamente, mandai ingenti quantità di email a gruppi o solisti che sapevo aver avuto a che fare con Mercury e compagnia. Una cosa che feci proprio per il libro fu di interpellare fan da quasi tutti i Paesi in cui suonarono per ogni tour, che si trattasse della natia Gran Bretagna, del Giappone o l’Argentina, per capire come era vissuta la musica di Mercury in posti tanto diversi.

Freddie Mercury, photo by Bill O’Leary – inclusa nel libro “Realidad y Deseo”

Tra gli intervistati/e, chi si distingue secondo te? Con chi ti sei trovato meglio? E, al contrario, c’è qualcuno che ti ha un po’ deluso?

La verità è che non mi posso lamentare. Quasi tutti mi hanno dato quel che ho richiesto. Sergio Martos, cantante degli Schizophrenic Spacers e giornalista musicale, ha fatto dei commenti magnifici su dischi e canzoni. Ho cercato, o provato a dare un equilibrio oggettivo, che non ci fossero solo elogi, che se c’è una canzone brutta, che lo si dica. E poi punti di vista diversi. Se chiedi qualcosa ad Alan Moore (autore tra l’altro di “V per Vendetta”, nda) o Alejandro Jodorowsky (scrittore e regista cileno di culto, nda), sai che non ti risponderanno con delle ovvietà, che ti sorprenderanno. Lo stesso si può dire di Rocco Siffredi, Michel Gondry, Shirley Manson, John Lydon o Sasha Grey. A ogni modo, se dovessi fare una classifica dei tre migliori direi Sergio, Gary Cherone degli Extreme e Mike Moran, coproduttore e coautore del disco Barcelona che Freddie pubblicò insieme a Montserrat Caballé

Alla fine, che idea ti sei fatto di Freddie come persona e come artista, dopo aver parlato con molti di coloro che lo conoscevano?

La verità è che non è cambiata particolarmente la mia immagine di lui. Anzi, credo che ammiro ancora di più la sua capacità creativa. Freddie era una persona che viveva con un edonismo sfrenato, cosa che apparentemente deponeva a suo sfavore, però possedeva un’enorme determinazione nel portare a termine tutto ciò che gli passava per la testa. Una persona timida in privato, che si trasformava in una leggenda vivente non appena si metteva a cantare. Aveva i suoi demoni personali, come l’assenza di un’infanzia normale passata in un collegio privato, il complesso fisico dei suoi denti, sapere se i suoi amici gli volevano bene per se stesso o per essere una stella del rock… In generale, non mi è caduto un mito. Di solito quando indaghi o intervisti gente che ammiri, ti ritrovi deluso. Curiosamente, i due artisti che ammiro di più, David Lynch e Freddie Mercury, senza che io la pensi come loro, mi hanno dimostrato che se li stimavo così tanto era per le motivazioni giuste per me. 

Dopo tutto il battage che c’è stato col film “Bohemian Rhapsody”, ci sarà gente che pensa che non c’era certo bisogno di un altro libro su Freddie Mercury o i Queen. Quale credi che sia il contributo speciale del tuo libro, l’intuizione che lo distingue da tutto ciò che è già stato scritto?

A parte i diversi punti di vista che ho già menzionato prima, credo che la cosa più importante è che per la prima volta siano stati analizzati in maniera esaustiva i due dischi di Mercury da solista. Mr. Bad Guy nelle biografie di Mercury o nei tomi dedicati ai Queen non occupa che pochi paragrafi, e generalmente più per questioni extra musicali. Vale a dire, che se avesse avuto successo col disco solista Freddie avrebbe lasciato il gruppo… si parla dell’album in questi termini. Nel libro, invece, gli ho dato una dimensione completamente diversa, parlo di come si è svolto il processo compositivo di ogni canzone, dando voce sia a chi ha prodotto l’album insieme a Freddie, Reinhold Mack, sia ai session men che l’hanno registrato e ai quali, finora, nessuno aveva chiesto la loro opinione. C’è anche il dubbio “e se avesse avuto successo?”, però spiegato meglio e senza considerazioni peggiorative verso un album che, sì, come produzione è risultato un po’ obsoleto, però a livello compositivo e vocale è più che rivendicabile. Succede lo stesso con Barcelona, anche se in questo caso nelle biografie in uso si passa da qualche paragrafo a una pagina, perché lo si considera di maggior rilevanza essendo un’opera realizzata con Montserrat Caballé. Anche in questo caso, nel libro si parla di tutto il disco nel suo complesso. Di fatto, c’è un intero capitolo dedicato a Barcelona, dalla sua genesi al lancio finale e a quello che significò, all’epoca, mettere insieme un cantante pop rock con uno dell’opera lirica. Ha creato un modello che allora seminò un gran putiferio tra i puristi di generi diversi, ma che ora è solo un altro cliché del business musicale. Uno su tutti, uno come Pavarotti che si dichiarò inorridito, ma che poi collaborò con gli U2 per Miss Sarajevo e con ogni tipo di artista pop o rock, incluso Brian MayL’unico sassolino che non mi sono potuto togliere è di non essere riuscito a includere l’opinione di Brian May su Mr. Bad Guy e Barcelona. L’ho intervistato troppo tardi, quando il libro era già in stampa. Però c’è l’opinione di Roger Taylor. 

Ignacio Reyo con Roger Taylor (a destra), batterista dei Queen

…a proposito, ti è piaciuto il film?!

Bah… Sì e no. È un film fatto per piacere a ogni tipo di pubblico, e che ha senso solo se vai a vederlo sul grande schermo. Sono andato tre volte al cinema a vederlo, e la prima ho avuto sentimenti contrastanti. Le altre due, mi sono lasciato trascinare dalla colonna sonora della mia vita, senza analizzare freddamente il film. Il finale con la performance al Live Aid è impossibile che non ti tocchi nel profondo. Però… è tutto molto edulcorato, Freddie non ne esce molto bene, ancor meno se lo paragoniamo con il resto dei membri della banda (i cui ruoli sono aneddotici), e si manipola la storia, dando luogo a tergiversazioni e fraintendimenti. Io ci avrei messo la firma per farlo dirigere a David Fincher, penso che fosse il regista più idoneo. Sa dirigere benissimo sia film con un’estetica da videoclip come “Fight Club”, sia film dai toni più pacati e drammatici come “Zodiac”, e queste due narrative rientrano entrambe nella storia dei Queen. Però chiaro, se l’avesse diretto Fincher, se fosse stato per maggiorenni, sarebbe durato una settimana nelle sale. “Bohemian Rhapsody” è un grande blockbuster, ma credo che nell’ambito dei biopic musicali, fatta eccezione per “Bird” di Clint Eastwood (del 1988, dedicato al sassofonista jazz Charlie Parker, nda), non si creino dei capolavori, ma piuttosto film d’effetto. Se alla musica dei Queen aggiungiamo dei ruoli recitati ad arte come quelli di Rami Malek nei panni di Mercury e di Allen Lech in quelli del suo manager personale Paul Prenter, ci resta un buon film e niente più. Quasi l’intera forza risiede in Malek, che fa uno sforzo titanico e porta l’emozione a estremi ineguagliabili. Avendolo visto in “Mr. Robot”, mi ha impressionato come ha caratterizzato Mercury così bene non solo fisicamente, ma anche personalmente. Se il film ha avuto così tanto successo e ha reso i Queen più popolari che mai in tutto il mondo, in gran parte è grazie a lui. 

Ovviamente, sei fan dei Queen? Hai un’epoca preferita della loro discografia?

Sì, sono un fan del gruppo da 33 anni, quando li scoprii dal video di Breakthru (1989). I miei fratelli sono più grandi di me di 14 e 13 anni rispettivamente. Mio fratello maggiore ha sempre avuto un gusto più americano, sul genere Bruce Springsteen, Neil Young etc, mia sorella, in cambio, ha un concetto di musica più eclettico. La loro adolescenza ha coinciso con la mia infanzia, e questo ha fatto sì che la colonna sonora di quel periodo fosse quello che ascoltavano loro. Parliamo di quando la musica aveva un effetto davvero importante sugli adolescenti, quando era qualcosa di più di 30 secondi su Tik Tok. Ho dei ricordi confusi del video di Radio Ga Ga, ma molto nitidi di Breakthru. La figura di Mercury mi affascinò, così come la locomotiva personalizzata, The Miracle Express, o la linea di basso così dinamica. Curiosamente, The Miracle è di uno dei dischi dei Queen che mi piace di meno, un po’ come Flash Gordon. Epoche preferite… Mi piace praticamente tutto, dai loro inizi con un hard rock barocco e monolitico, l’espansione creativa mischiando mille generi in Sheer Heart Attack, A Night at The Opera o Jazz, passando per la tappa meno considerata dai melomani e la più mediatica del gruppo in Europa, gli anni ’80. Persino in dischi minori come A Kind of Magic troviamo canzoni pazzesche del calibro di Princes of The Universe o One Vision. In tutti i dischi ci sono dei classici, o pezzi di qualità indiscutibile, dal tecno pop di Radio Ga Ga passando per la languida disco di Cool Cat. Mi piace rivendicare Hot Space, l’album in cui nel lato A del vinile abbracciarono il suono disco, funky o come lo si voglia definire. Sono fan anche della carriera solista di Mercury. Di Taylor e May mi piacciono alcuni dischi, ma non le loro carriere soliste per intero, cosa che invece sì mi capita con Mercury. 

BIOGRAFIA IGNACIO REYO:

Giornalista musicale e culturale spagnolo, nato a Burgos nel 1983, attualmente collabora con le riviste This Is Rock, RockZone e Efe Eme. Sta lavorando a due nuovi progetti di libri musicali, entrambi di concezione “orale”, sulla falsariga del classico della letteratura punk “Please Kill Me” (di Legs McNeil e Gillian McCain, edito in italiano da Baldini+Castoldi). La sua carriera è iniziata all’università, creando fanzine musicali, ed è proseguita come giornalista di cronaca locale. Il balzo lo fa quando entra a far parte di Popular1, la prima e più seguita rivista rock spagnola che si occupa anche di cultura pop in generale: per loro ha intervistato artisti e musicisti di ogni tipo, da Iggy Pop a Neil Gaiman, scrittore e creatore di fumetti cult come “Sandman”. Ha poi collaborato con moltissime webzines e riviste digitali, tra cui Ruta66, Rolling Stone in lingua spagnola, Mondo Sonoro, Rockaxis, Hip Hop Life, fino ad approdare alle collaborazioni attuali. Al suo attivo ha interviste con i maggiori artisti rock degli ultimi anni (Alice Cooper, The Cult, Roger Taylor, Foo Fighters, Def Leppard, Iggy Pop…). Al di fuori dell’ambito musicale, ha scritto anche per Esquire. Per RockZone ha realizzato nel 2011 uno speciale di 100 pagine dedicato alla rock band spagnola Héroes del Silencio, con molte interviste inedite a personaggi chiave della loro carriera, che a malapena compaiono nel documentario uscito un anno fa per Netflix.

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